Sentiero dei pellegrini
L’escursione inizia poco oltre l’abitato di Novi Velia, lungo la strada asfaltata per il Monte Gelbison, circa 200 metri dopo il Ponte della Torna. Di fronte al cancello di ingresso di un fabbricato, sede di una condotta forzata-deposito di acqua, ad una quota di circa 700 metri, si imbocca un sentiero lastricato non segnato che sale con tornanti nel bosco in direzione SE fino al fabbricato superiore della condotta forzata (863 m). Aggirandolo sul retro si prosegue verso est per un tratto pianeggiante, seguendo il canale che porta le acque alla condotta fino ad incrociare di nuovo la strada per il Gelbison; dopo averla attraversata si imbocca il sentiero lastricato dell’ antica via dei pellegrini.
Il primo tratto è in leggera salita, ed attraversa un bosco con splendidi castagni secolari, fino alla località Fiumefreddo. Dopo una serie di tornanti si passa vicino ad una sorgente (1041 m) per poi proseguire costeggiando un bosco di conifere. In prossimità del colle Prociglioli (1065 m) il sentiero va aprendosi verso una distesa prativa; la via dei pellegrini, di nuovo per un breve tratto in prossimità della strada asfaltata, con una successione di gradinate prende direzione NE lungo i crinali boschivi della zona del Belvedere. Continuando a salire il sentiero incrocia una strada sterrata (1185 m), per poi attraversare una stupenda faggeta con una pendenza che si fa ora, a tratti, più impegnativa e termina all’improvviso (1510 m) davanti ad una grossa pietra scolpita dai pellegrini, con alcune scritte datate tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Si segue per circa 800 metri la strada asfaltata per giungere al valico della Croce di Rofrano (1620 m); da qui l’ultimo tratto di ascensione, caratterizzato ancora da gradini che servono a spezzare l’erta, conduce ad un primo piazzale con al centro una croce in pietra e poco dopo al più ampio piazzale della cima del Monte Gelbison (1705 m) dove è situato l’antico Santuario della Madonna del Monte. Un po’ più in là c’è la chiesa, di recente costruzione, dedicata al culto di S. Bartolomeo, patrono di Novi, ed il campanile isolato. Un’enorme croce di ferro presente sulla cima sovrasta il piazzale ed è visibile, quando illuminata, da tutto il Cilento.
Il Monte Gelbison, con il santuario mariano più elevato d’Italia, è definito una della più belle montagne, non solo per la vegetazione lussureggiante presente fino alla cima ma soprattutto per il panorama, che nei giorni tersi, abbraccia tutta l’Italia meridionale, spaziando fino
alle isole Eolie e talvolta all’Adriatico. Dalla cima è possibile ammirare verso nord i Monti Alburni, ad ovest il Monte Stella con la piana di Paestum, ed il golfo di Salerno fino alla costiera Amalfitana, ad est il massiccio del Cervati, più lontano il Monte Sirino ed il Pollino, e in direzione del mare, verso sud, il profilo allungato della costa di Palinuro ed il Monte Bulgheria.
Il Monte Gelbison rappresenta, per i fedeli della zona, della Lucania e della Calabria, un importante punto di riferimento religioso con il Santuario della Madonna del Monte, situato sulla sua cima. Il Santuario, fondato dai monaci Basiliani nel X secolo, nasce laddove in antichità era presente un insediamento sacro-pagano; infatti, in arabo, Gebel-el-son significa Monte dell’Idolo. Il ritrovamento di reperti archeologici (statuetta fittile “tanagra”, serpentello di bronzo, cocci di lampada) nel 1960 fa supporre la presenza di un tempio sul Gelbison, eretto dai Greci (Enotri) e dedicato alla dea Hera, già da almeno 200 anni avanti Cristo.
Il periodo dei pellegrinaggi sul Monte Gelbison, va dall’ultima settimana del mese di maggio alla prima di ottobre.
Non mancano le tracce delle periodiche ascensioni che ormai si ripetono da secoli: quando le gradinate si inerpicano su per il Belvedere, ad un certo punto “…s’incontra, salendo sulla sinistra del sentiero, un accatastamento piramidale in pietre sbiancate dal tempo e dalle intemperie; al suo vertice è incastrata una croce in ferro battuto, testimonianza di un antico pellegrinaggio, ed il tutto non supera i due metri d’altezza. Questa composizione simboleggia un monte di gioia, segnavia perpetuo per i pellegrini di tutta l’Europa medioevale...”. Legati ed attorcigliati alla croce in ferro, oppure infilati tra le pietre del monte di gioia, alcuni fazzoletti annodati rappresentano antichi gesti di rituali e devozioni espresse dal credente che, nell’attraversare questi luoghi, vuole lasciare qualcosa di suo.
Inoltre varie sono le leggende che interessano questo luogo di culto, la più famosa riguarda uno spuntone di roccia calcarea chiamato “ciampa del cavallo”, che sporge poco oltre la balaustra del piazzale della chiesa.
La leggenda narra che in età longobarda due cavalieri giunsero sulla cima del Sacro Monte Gelbison; mentre uno varcò il portale della chiesa madre per ringraziare la Madonna, l’altro lo scherniva da fuori per questo suo gesto di “debolezza” che poco si addiceva ad un vero guerriero. D’un tratto il suo cavallo s’imbizzarrì e in pochi attimi raggiunse l’orlo del precipizio per
saltare oltre. Allora il cavaliere, benché non credente, implorò l’aiuto della Madonna la quale gli salvò la vita facendo arrestare la cavalcatura proprio su quello spuntone di roccia, che perciò prese la denominazione di “zampa del cavallo”.
Da allora sussiste l’usanza di lanciare monetine (un tempo si lanciavano sassi del suolo sacro) sulla zampa: se vi riesce un anziano, egli farà ritorno al santuario l’anno successivo. Se vi riesce una donna in cerca di marito, ella ritornerà da sposata.
Da: Sala Consilina
A: Madonna Sito Alto – Sala Consilina
Lunghezza: 6,3 Km
Tipologia: pedonale
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Copyright
CAI Salerno
Sentiero dei Pellegrini di Alfonso Sarno
Non c’è niente di più forte della fede capace di far dimenticare agli uomini affanni, fame e sonno pur di raggiungere il proprio luogo dell’anima, a volte lontano da ogni dove e scomodo, e lì raccogliersi per meditare e pregare. A piedi scalzi od appesantiti da oggettivi votivi come le “cente”, ceri infissi in una base di legno leggero, a forma di barca o di torre ed adornata da nastri colorati, di solito portata dalle donne che salgono lentamente in processione, pregando, al Santuario della Madonna del Sacro Monte di Novi Velia. Posto sulla cima del Gelbison, a 1705 metri di altezza, in uno dei Parchi più estesi e suggestivi, è l’edificio religioso più alto d’Italia; un unicum dove realtà e leggenda si sovrappongono di continuo, ammaliante per la straordinaria bellezza del panorama che si protende sul Cilento, sul Vallo di Diano, sul Golfo di Salerno lambendo il promontorio di Palinuro, la Divina Costa e le isole di Ischia e Capri.
Frequentato fin dal ‘300 il Santuario della Madonna di Novi Velia come viene chiamato, è aperto – nelle altre stagioni le condizioni meteorologiche non lo permettono – dal martedì di Pentecoste a fine estate. Una manciata di mesi scanditi dalla folla di devoti, molti dei quali preferiscono, alle più veloci strade carrozzabili di Vallo della Lucania e di Rofrano, ripercorrere interamente a piedi gli antichi camminamenti sostando nei posti ove, si dice, sia apparsa la Madonna. Per giungere poi sul piazzale ove si conservono altri segni di ingenua religiosità popolare: una montagnola su cui erge una Croce di ferro formatasi con le pietre portate per penitenza o la cosiddetta “Ciampa di cavallo”, uno spuntone di roccia posto sull’orlo del precipizio dove miracolosamente si fermò il cavallo imbizzarrito di un cavaliere miscredente.
Miracolosa l’origine, edificato da alcuni pastori che mentre inseguivano un agnellino scappato si trovarono davanti ad una grotta in cui c’era l’immagine della Madonna. Le risultanze storiche raccontano, invece, di un preesistente tempio pagano in onore di Era, dea greca custode della fedeltà coniugale e del parto su cui i monaci Basiliani, in fuga dall’Oriente per le persecuzioni cristiane edificarono tra il X e l’XI secolo il sacro edificio. Questione che non appassiona più di tanto coloro che hanno fiducia nella Madonna che, materna, li aspetta. Incuranti di essere nel tecnologico ventunesimo secolo fanno rivivere ancestrali riti deponendo ai suoi piedi i “torcioni”, pesanti candele dipinte, riproponendo il rito propiziatorio di girare sette volte intorno alla Chiesa o compiendo in ginocchio il tragitto dall’ingresso all’altare.